23 nov SESSOLENZA

SESSOLENZA

SESSOLENZA

SESSOLENZA 

La sessolenza

di Ornella Convertino

Era una sera di giugno,  saranno state le otto. Dalla cucina vedevo il tramonto, con i colori rosa e gialli. Stavo apparecchiando la tavola, quando suonò il telefono. Mia madre andò a rispondere. Tornò con la fronte corrugata. Cadde un silenzio improvviso e poi annunciò che la zia Rita era venuta a mancare. Mio padre fece una smorfia di disapprovazione, come se sapesse già che quella notizia avrebbe portato scompiglio. Mia sorella Anna, chiedeva a ripetizione: cosa è successo, mamma ?

Caterina aveva iniziato la psicoterapia da poco, ma era molto intenzionata ad aprirsi. Avevamo trovato subito un’intesa.

– Vede, Dottoressa,  Rita é  la mia prozia, non la conoscevo molto. L’avrò vista una o forse due volte, è  la sorella di mia nonna, abita  a Firenze. –

– Continua pure – Dissi.

– Ora io mi trovo qui, sdraiata, a raccontare fatti successi tanti anni fa. Mi sono immaginata mille volte la scena in cui avrei rivelato certi accaduti, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo.

Spesso mi sento come una pentola a pressione. Mi dico:  “rilassati, nessuno si è mai accorto di ciò che ti è capitato, tutto è dentro, al sicuro”.

-Dottoressa, mi sta ascoltando? – Incalzò Caterina.

-Certamente, vai avanti.

– L’ultima volta  mi disse di disegnare. Se lo ricorda, vero?

– Certo, Caterina! –

– Vede, mi  sono sorpresa molto quando ho abbozzato quella bocca con la cerniera. Lei mi disse: “E’ un simbolo importante, poiché, con un atto intenzionale, si possono aprire o chiudere, congiungere o separare, due parti.

E’ stata come una illuminazione.

Ho  tenuto la bocca chiusa per tantissimi anni, per quanto riguarda alcuni fatti accaduti nella mia famiglia. Ora voglio parlare. Ho quarantanove anni e questi segreti non voglio più tenerli solo per me. Non avevo voglia di venire stamattina, perché so che le mie emozioni mi stravolgeranno, tutto andrà in uno scompiglio vertiginoso e doloroso, ma voglio provare.-

– Capisco, forse ora è il momento giusto ed io sono qua con te. –

Caterina fece un respiro profondo, allungò un po’ i piedi sulla chaise-long, predisposta per la psicoanalisi. Io ero seduta dietro di lei e potevo osservare i suoi capelli corvini ed i movimenti lenti del corpo: l’addome che si alzava ed abbassava,  a volte, il respiro era affaticato e frettoloso.   Quella posizione la rassicurava molto,  era come in una bolla. Le parole fluivano e parevano disegnare immagini ed emozioni nell’aria. Era una  ginecologa ed aveva  aiutato tante donne a partorire ed  a risolvere molti problemi legati alla femminilità.

Dicevo, appunto di quella telefonata. – Caterina riprese il suo discorso.-

Ricordo molto bene che si passò la cena in silenzio, anche la mia sorellina smise di parlare, al tempo aveva sei anni.

Mia madre andò in camera da letto e dopo un po’ mi chiamo e mi disse:

“Domani parto con Anna, tu starai  a casa per preparare la cena al papà. Fa che sia tutto a posto e non farlo arrabbiare.”

Quelle parole mi risuonavano molto grevi, come se mia madre mi avesse      passato un testimone. Vede dottoressa, mio padre era violento. Preparare la cena era come fare uno slalom bendati tra i bicchieri di cristallo. Bastava una piccola cosa fuori posto e si poteva scatenare l’inferno.

Pensi dottoressa, mi vergogno un po’ a dirlo ora, ma  pensavo che avrei fatto sicuramente meglio di mia madre. –

– Capisco benissimo che  vivere con un uomo così aggressivo   getta tutta la famiglia in uno stato di paura.

In quel momento era come se ci fosse un cartello dentro di te con la scritta: “ la mamma dovrebbe essere   più brava a fare  ciò che il papà le chiede, così tutto andrebbe meglio”.

– Sì, dottoressa era così! Con il tempo ho capito che mio padre aveva un disturbo, che era indipendente dalle nostre reazioni, ma allora, noi tutti eravamo soggiogati dal suo volere.-

– I nostri vissuti possono cambiare di  significato, nel tempo. Ciò avviene perché  la mente integra ai ricordi, informazioni nuove. Il  racconto riordina  e al contempo ridefinisce l’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso.

Oggi, Caterina,   vuoi liberarti dal dolore emotivo. Ciò è possibile solo organizzando  questi fatti  in una nuova cornice per connetterli a nuovi significati.  Parlando,  annodi, congiungi, unisci, distingui molti aspetti che hai vissuto nel profondo. Ora, quella bimba e quella ragazza ti chiedono di liberarle dalla prigione famigliare.

-Sì, Dottoressa, mi sentivo completamente impotente di fronte alle urla e improvvisi scoppi di ira di mio padre e credo che tutti noi in famiglia ci sentissimo così. Avevo paura che ci ammazzasse da un momento con l’altro. Eppure, ero così ingenua tanto da alzarmi  ogni giorno  e avere ancora la speranza che qualcosa sarebbe cambiato.

-Eri veramente in una situazione difficile. Capivi che tuo era bisognoso di cure e volevi aiutarlo a guarire, malo odiavi perché terrorizzava tutti.

-Dottoressa, mi sentivo sottomessa ad un volere imprevedibile. Aveva cercato di picchiare mia madre con qualche sberla violenta e spintone. Io mi ero gettata tra di loro con la speranza di ripararla dai colpi.

SMILE CERNIERA

SMILE CERNIERA

Ora Caterina singhiozzava, quei ricordi drammatici l’avevano sconvolta nuovamente. Pativo con lei, quelle emozioni crudeli. In ogni caso era necessario che il mio pensiero si aprisse in una nuova prospettiva, per ricercare nel mio animo quelle connessioni di senso in grado di contenere la complessità degli evidenti attorcigliamenti emotivi.  Le maglie di quella rete diabolica stavano imprigionando anche la mia mente, infatti ebbi improvvisamente un vuoto.  La paura di Caterina era arrivata fino alle mie viscere – Dottoressa, sto rivivendo quel terrore e c’è ben altro, ma ho paura e non riesco   più pensare a nulla.

Caterina riprese con le parole ciò che io stavo provando. Le nostre menti si erano sintonizzate come in una danza di coppia.

-Mi sentivo piccola, indifesa e paralizzata, non potevo  sfuggire  all’atrocità di  mio padre.

– Continua il  racconto, coraggio!-  le dissi .

– Alla sera verso le otto, il mio corpo iniziava, automaticamente,   a tremare per il pensiero che di lì a poco sarebbe entrato lui mi sconvolgeva. Cosa sarebbe successo quella sera? Sarebbe entrato allegro e felice di vederci o avrebbe iniziato ad urlare, parolacce e oscenità contro di me, mia sorella e mia madre? Con le orecchie tese ascoltavo per sentire il rumore dei passi sulle scale, mentre, girando intorno al tavolo più e più volte,  ricontrollavo se avessi apparecchiato bene. Allineavo le posate, i piatti, i bicchieri e ripiegavo i tovaglioli in modo che fossero ordinati. Cercavo di dare al tutto  una simmetria perfetta. Olio, sale, c’erano? Mettevo in tavola il vino  per ultimo, poiché era la causa principale del problema di mio padre. Mi scusi, Dottoressa, so che migliaia di persone bevono e non sono stata l’unica ad avere una problematica simile, ma al tempo, io ero  sola con  questo problema. Le mie amiche mi sembravano tutte migliori di me ed avevano una famiglia normale. Io mi vergognavo.

Un sospiro ed il silenzio sottolineavano che le emozioni di Caterina, trattenute e cariche di  dolore,  si stavano pian piano  sciogliendo.

-Le spiego meglio dottoressa, non so se lei mi capisce?

E’ un po’ come quando si è in una barca in mezzo al mare. Si osserva il cielo e si intuisce che sta arrivando un  forte temporale: il vento si alza improvvisamente e  le nubi, cariche, gonfie, nere e con sfumature grigie, corrono, volteggiano e si compattano sempre più velocemente. Cosa succederà? Si ha molta paura di essere sorpresi senza riparo, senza protezione  e si cerca con tutte le forze di tornare a riva per mettersi in un  posto sicuro. Si riuscirà ad arrivare  sani e salvi? La mia vita era sempre  in mezzo al mare in burrasca!

– Caterina, stai tranquilla. Il tuo sforzo è molto importante, perché stai cercando di esprimere, ciò che hai custodito da anni. So benissimo che non è facile. In questo momento per te le parole sono come un ponte, che collegano il tuo intimo a me e a questa nuova te stessa. Nel raccontare i tuoi pensieri, puoi finalmente ascoltarti.

Ricominciò a piangere, dapprima in silenzio asciugandosi ogni lacrima con il dorso della mano, poi le lasciò cadere e prese a singhiozzare. Cercò un fazzoletto e lo usò come scudo per coprire il viso, mentre si asciugava. Immagini e pensieri stavano probabilmente scandendo ricordi del passato, che io non sapevo, ma potevo solo intuirne i contenuti. Si calmò e mi disse:

-Dottoressa non so se ho veramente il coraggio di continuare. Mi sento a pezzi e nello stesso tempo mi sento più leggera. Non so se realmente lei crederà a ciò che sto per dirle.

-Non cercare di vestire i tuoi ricordi con una abito presentabile a tutti i costi. Falli uscire così come ti vengono.

-Ecco, esatto,  mi sento come un abito stracciato, malconcio, sporco, consunto, scolorito, pieno di macchie, usato, strizzato, rammendato, bucato, sgranato, strappato, rattoppato, logoro, sbrindellato.

La sua voce era cambiata, non cercava più di tenere una conversazione composta, ma l’emozione aveva preso il sopravvento e le parole uscivano convulse e a volte storpiate da qualche singhiozzo incontrollabile.

-Basta! Io mi fermo!-

Ora il suo tono era autoritario e quasi percepivo un pentimento nella sua voce, come se affidare a me quei ricordi, fosse stato un grave sbaglio. Probabilmente nei suoi pensieri, anch’io,  avrei potuto ferirla  e tradirla, esattamente  come suo padre, il quale anziché  proteggerla con vigore e accudirla con amore, l’aveva spaventata e minacciata. La situazione era critica. In realtà   non mi aveva detto tutta la sua storia, ma era come se la sua mente lo avesse già fatto. Aveva continuato a pensare dentro di sé ciò che era accaduto ed era  come se quel pensiero non dettomi, in realtà, me  lo avesse  comunicato  come una confidenza schietta e chiara.

A volte i ricordi della mente creano delle specifiche energie che sembrano spostarsi da una persona ad un’altra. Caterina aveva fatto un passo indietro per proteggersi.

– Dottoressa, io non posso più parlare. Non so se faccio bene. Inoltre vedo le immagini, ma le parole non mi escono. Ho un vuoto di parole.-

-Quando si hanno ricordi molto dolorosi, ogni parola diventa una denuncia.

-Mio padre era un delinquente!-

Aspettai in silenzio.

Voglio continuare, mi sento accolta qui da lei e voglio  liberarmi.-

Qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio si stavano incontrando, ed ora la relazione tra Caterina e me la immaginavo proprio come quella  cerniera che aveva disegnato: le dentellature si  congiungevano scivolando su una buona energia del  pensiero.

-Stavo dicendo -riprese Caterina,  – che  il giorno dopo mia madre e mia sorella partirono con il treno.

Da una parte ero dispiaciuta, perché avrei voluto andare  con loro, ma dall’altra parte qualcuno doveva stare a casa con mio padre. Quel giorno, andai a scuola, e tornai come al solito, con la mia amica. Frequentavo la seconda media e avevo dodici anni. Passai il pomeriggio studiando. Guardai un po’ di televisione e poi iniziai a preparare la cena. Il riso stava cuocendo, la tavola era apparecchiata per due. Guardai fuori dal balcone e il tramonto era spettacolare,  infondeva  pace e tranquillità, mi sentivo fiduciosa e positiva, anche se il mio  corpo  tremava. Non lo facevo apposta, improvvisamente, le gambe non stavano ferme ed un tremolio interno mi faceva vibrare. Ci ero abituata e mi sembrava normale averlo. Anzi, mi spronava ad essere più attenta e brava. Assaggiai il riso. Accidenti! Era molto salato. Venni presa dal panico. Non c’era più tempo per rifarlo. Presi un colino lo misi sotto l’acqua calda con la speranza che il sale se ne andasse. Lo ributtai nella pentola, assaggiai. Non sapeva di niente.

Presi un po’ di sugo pronto e lo mescolai velocemente al riso, nel tentativo di aggiustare il pasticcio. Ero preoccupata, poteva succedere un finimondo.

Dottoressa, a lei sembreranno schiocchezze queste cose che sto dicendo, ma io avevo paura che mi ammazzasse! Veramente, non sto scherzando, quando mio padre si alterava sembrava un pazzo, nessuno riusciva a fermarlo. Mi crede? Ripetè più forte.

– Sì, Caterina ti credo, continua pure.-

– Alle otto mio padre arrivò, sembrava allegro. Mangiò senza commentare, guardando la televisione. Poi, dopo aver finito la bottiglia di vino, si mise sul divano. Io rimasi a riordinare la cucina. Stavo per andare nella mia camera, quando con voce forte e determinata mi chiamò.

– Caterina!-

-Dimmi?-

-Stai qua con me, sdraiati.-

Avevo paura. Per un po’ guardammo il programma in Tv, poi iniziò ad accarezzarmi la pancia. Il mio cuore stava scoppiando. Mi capisce dottoressa?

Avrei voluto prendere una accetta e spaccargli la testa? Ma in quel momento ero paralizzata. Cosa mi sarebbe accaduto?

Le sue mani arrivarono al mio piccolissimo seno e sentii un brivido fastidioso. Io ero paralizzata.

Caterina iniziò  a piangere a dirotto, questa volta il pianto era pieno di rabbia e di risentimento e con la voce rotta mi disse:

Il giorno dopo stavo male, ma cercavo di sdrammatizzare. “Beh, in fondo mi ha solo toccato, non mi ha fatto male, solo fastidio. Non è successo niente. Poteva succedere di peggio. Quella mattina mi trattenni in bagno più del solito.  Mi lavavo, dappertutto. Mi dicevo: dai, dai devi andare a scuola. Forza! Poteva andare peggio.

Dentro avevo una sensazione strana. Mi ero sentita sorpresa di quel comportamento di mio padre. Dottoressa mi sente?

-Certo continua pure –

Ero abituata alla minaccia, perciò non sapevo bene cosa pensare. Confusa e schifata, andai a scuola.

Pensavo continuamente  a  come avrei fatto  per evitare il peggio. Preparai la pasta, mangiammo e sparecchiai. Quella sera mio padre era di buon umore. Mi sentii un po’ più sollevata. Lui si distese sul  divano e prese la copertina. Mi chiamò. Andai con un gran peso allo stomaco. L’odore dell’alito del vino era nauseabondo, mi sentivo svenire, ma non potevo perché dovevo essere vigile, per difendermi. Come la sera prima, prese a toccarmi il seno e poi insinuò le sue dita tra le mie cosce. Improvvisamente prese la mia piccola mano e la portò su di lui. Lui la guidava ed io mi dicevo terrorizzata: fingi che non sia tua quella mano! Pensa di essere invisibile! Dottoressa, non volevo reagire per paura di essere ammazzata. Mi capisce vero?

– Sì, Caterina. –

– Il giorno dopo pensai che dovevo assolutamente scappare, ma per andare dove?

Mia madre tornò, non volevo che si accorgesse di cosa era successo, perché sarebbe morta di dispiacere.

Mi dicevo: “in fondo non è  nulla di irrimediabile, poteva andare peggio.”

Un pomeriggio ero a casa da sola. Lui tornò improvvisamente dal lavoro, mi colse di sorpresa. Non voglio raccontare tutto, lei può capire, vero? –

Caterina ora aveva ripreso a singhiozzare. Come era possibile tanta cattiveria con la propria figlia?

Dottoressa il peggio doveva ancora venire. Il dolore e la rabbia più forte la ebbi dopo qualche tempo. Come le dicevo, non avevo il coraggio di confidarmi con mia madre, per non turbarla. L’amavo troppo e non volevo farla stare male. Mio padre continuava ad approfittarsene di me di notte, quando gli altri dormivano. Io rimanevo sempre sveglia dalla paura e dallo schifo. Una sera accadde che mio padre andò a letto presto. Io mi ero intrattenuta in sala. Improvvisamente mia madre mi chiamò e mi disse: Caterina, il papà ti chiama, vuole che tu vada con lui, di là in camera!- Sentìi attraversarmi una lancia nel cuore. Capisce dottoressa in che famiglia sono capitata? Mia madre sapeva tutto e non mi aveva mai difesa. Volevo suicidarmi. Poi qualcosa mi diceva di stare tranquilla che tutto sarebbe cambiato. Dopo cinque lunghissimi anni di sofferenza mi padre smise di tormentarmi. Mi ero rifugiata nello studio. Ero intenzionata a diventare un medico. Così feci e diventai Il mio desiderio è sempre stato quello di aiutare le donne, di far nascere i bambini, di proteggerli e avviarli alla vita. Molte donne che visito  hanno subito violenza.

-Io chiamo questa terribile esperienza sessolenza: violenza sessuale. E’ importante attribuire un nome specifico a questi atti molto gravi. Tu ne sei stata una vittima. Sei una gran donna. Con il tuo talento hai saputo trasformare il dolore e la rabbia, in un motore d’aiuto per gli altri e per te stessa. Oggi hai condiviso con il racconto  ciò che hai vissuto. Ciascuno di noi ha  bisogno di un testimone prezioso a cui comunicare   i suoi pensieri più intimi, i fatti della propria vita, per darsi la possibilità di accedere alla sfera fertile di se stessi.

 Colta da una risata liberatoria ed un po’ convulsa mi disse:

– Successivamente sono anche riuscita a riconquistare il mio corpo. E questo sa grazie a chi?

– No!-

-Grazie a Marco, il mio attuale marito. Ci siamo conosciuti all’Università. Ha avuto molta pazienza con me. Lui non sa nulla di tutto ciò che le ho raccontato oggi. La sua casa profumava di lavanda.  Era capace di trasmettermi fiducia e amore. Mi accoglieva accarezzandomi la testa. Infilava le dita tra i miei capelli, ed io sentivo un brivido piacevole che mi percorreva la schiena. Poi avvicinava il mio viso al suo e mi baciava gli zigomi. Mi sussurrava parole dolci e con le labbra mi sfiorava l’orecchio. Mi eccitava molto. Anch’io, a specchio, gli toccavo i capelli biondi e leggermente lunghi. Poi  Marco, si spostava sul collo. Induceva soprattutto sulla parte posteriore. Che brividi!  Ci sedevamo sul divano. Volevo sentirmi anch’io come le altre donne: normale. Lui riusciva benissimo a calmarmi. Il suo tocco mi trasmetteva molta sicurezza. Io mi sedevo a cavalcioni su di lui. Lui mi abbracciava forte e poi continuava a baciarmi. Pian piano mi spogliava. Poi mi adagiava sul divano. Scherzosamente diceva: ti faccio un pigiama di saliva! Io mi mettevo a ridere perché era proprio una frase stupida. Con la lingua mi accarezzava il corpo. Mi sembrava che la sua saliva cicatrizzasse le mie ferite e mi sentivo man mano scivolare in un nuovo mondo. La testa di diventava leggera e sentivo un forte desiderio per Marco. A tratti ricambiavo, e la danza  snodava ogni parte di me. Poi, appoggiava le labbra sulle mie cosce e si fermava, mentre dolcemente le sue mani  mi massaggiavano la pancia. Sempre più intensamente il suo calore mi scioglieva e quell’attesa mi faceva desiderare di sentirlo ancor più dentro di me. Allora gli prendevo dolcemente la testa e l’avvicinavo. Gettavo indietro il collo e mi abbandonavo al ritmo umido della sua bocca.  Tutto il mio corpo era vivo e presente. Entravo in estasi, sobbalzavo più volte in maniera frenetica, con gli occhi chiusi. Dolcemente, lui si staccava per prendermi la mano e stendersi vicino a me. Mi aveva donato sensazioni uniche che non avrei mai immaginato di poter sentire.  Marco, all’oscuro di tutto, aveva acceso una luce di speranza  nel parte più fertile del mio corpo.

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